Indubbiamente il nostro lettore si riferisce ai versetti che seguo­no, tratti dall’epistola di Paolo agli Efesini: “Adiratevi e non peccate; il so­le non tramonti sopra il vostro cruccio e non fate posto al diavolo…. Sia tolta via da voi ogni amarezza, ogni cruccio ed ira e clamore e parola offensiva con ogni sorta di malignità. Siate invece gli uni verso gli altri benigni, misericordiosi, perdonan­dovi a vicenda, come anche Dio vi ha per­donati in Cristo” (Efesini 4:26, 31, 32). A prima vista esiste un’apparente contraddizione tra i versetti citati che crea perplessità. In realtà, questa discordanza è tale soltanto ad una lettura superficiale. Il testo può apparire oscuro perché la traduzione utilizza vocaboli ormai poco consueti nel nostro linguaggio comune.

LO SDEGNO
Nella lettera agli Efesini, l’apostolo, ispirato dallo Spirito Santo, usa tre termini diversi per descrivere l’ira. Il verbo tradotto nelle nostre Bibbie con “adirarsi” non è da intendersi secondo il significato negativo, ma piuttosto come: “Risentirci profondamente per qualcosa che offende il senso morale e spirituale”. E’ quindi un’indignazione santa causata da un comportamento improprio. Il versetto potrebbe anche essere tradotto: “Indignatevi ma non peccate…”. Infatti, l’ira è un desiderio violento di vendetta ed immancabilmente produce effetti deleteri sullo spirito umano perché “… l’ira dell’uomo non mette in opra la giustizia di Dio” (Giacomo 1:20).
Lo sdegno santo, invece, è un risentimento interiore dell’animo umano, di cui la persona è consapevole. Il termine originale (orghìzo) è usato in quel senso in Marco 3:5: “Allora Gesù, guardatili tutt’intorno con indignazione, contristato per l’induramento del cuor loro, …” (Marco 3:5). In quella sinagoga v’erano persone che volevano accusare il Signore di violare la legge del sabato, guarendo un uomo con una mano paralizzata. Gesù mostrò tutto il Suo santo sdegno e la Sua giusta indignazione per la durezza del cuore dei presenti. La stessa indignazione Gesù la manifestò quando scacciò i cambiava-lute ed i venditori di colombi nel tempio, perché avevano fatto della Sua casa una “… spelonca di ladroni” (Marco 11:17). E’ il giusto risentimento non per motivi egoistici o personali, ma verso il male ed il peccato in tutte le sue forme. In questo caso simile “sdegno santo” è salutare, ma attenzione che sia proprio come quello di Gesù o quello descritto da Paolo!

IL RISENTIMENTO
Lo Spirito Santo spinge l’apostolo ad usare, nello stesso V. 26, un altro termine: “Cruccio”. Questa parola non è più usata comunemente e potrebbe tradursi meglio con “ira”. Il termine (pararghismos) suggerisce un sentimento duraturo, che amareggia e dal quale bisogna liberarsi: “Tremate e non peccate; ragionate nel cuor vostro sui vostri letti e tacete” (Salmo 4:4). È un consiglio divino a eliminare un risentimento che continua a spingere all’esasperazione. Questo sentimento d’ira se con l’aiuto di Dio non viene abbandonato ha un effetto deleterio sull’animo del credente. Efesini 4:26 potrebbe essere reso così: “Indignatevi ma non peccate, il sole non tramonti sul vostro risentimento e non fate spazio al diavolo”.
La causa di questo risentimento, che rimanendo annidato nell’anima disturba la pace, è spesso semplicemente qualche frustrazione, oppure una sconfitta subìta, allorquando il nostro “amor proprio” viene offeso. Questa “ira” che cova nell’essere ed esaspera è una forza distruttrice della pace interiore.
Per questo è valido il consiglio della Parola di Dio. Bisogna liberarsene prima di notte per poter “ragionare col cuore vostro sui vostri letti” e tacere nella ritrovata quiete della presenza di Dio.

LA COLLERA
Il terzo tipo di ira è menzionato nel V. 31: “Sia tolta da voi ogni amarezza, ogni cruccio (thymòs) ed ira (pararghismos) …”.
La parola tradotta “cruccio” nel testo originale è più forte e andrebbe resa con “collera”. Essa designa “quel sentimento di sdegno che si manifesta spesso improvvisamente con parole e perfino atti violenti”. Una rabbiosa agitazione che divampa improvvisamente ed esprime i bollori e le reazioni della vecchia natura, in contrasto stridente con la “nuova natura” che il credente riceve come manifestazione del “frutto dello Spirito Santo”.
L’idea originale del termine è quella di “qualcosa che bolle e gorgoglia”, in modo eclatante, accompagnato da clamore, parole offensive. Come anche con altre manifestazioni: “… contese, gelosie, ire, rivalità, maldicenze, insinuazioni, superbie, tumulti” (II Corinzi 12:20). Occorre che come cristiani non facciamo “spazio al diavolo”. È pericoloso tentare di scusarsi affermando che è soltanto sdegno santo quello che ci spinge ad indignarci; cerchiamo sempre di controllare le nostre emozioni per non permettere che divengano risentimenti e che potrebbero manifestarsi poi in un’esplosione d’ira. Il cristiano può soltanto indignarsi contro l’errore e contro tutte le forme di iniquità che si manifestano contro Dio. Questo “sdegno santo” deve essere un peso che il cristiano sente nell’animo e depone ai piedi del Signore in preghiera.
Il miglior consiglio ci viene offerto dalla parola di Dio: “Lo stolto dà sfogo a tutta la sua ira, ma il savio trattiene la propria” (Proverbi 29:11); “L’uomo savio è pien di forza, …” (Proverbi 24:5).