L’argomento è di un’attualità sconcertante ed ha interessato psicologi e sociologi. Un’indagine dell’ISTAT ha rivelato che in Italia vi sono sempre meno matrimoni e aumentano invece i casi di convivenza al di fuori dell’istituto matrimoniale. Il matrimonio è in crisi non soltanto nel nostro Paese, ma in tutto il mondo. Negli Stati Uniti, ad esempio, si registra un divorzio ogni due matrimoni.
La convivenza fuori del matrimonio, afferma un sociologo, è spesso simile al legame coniugale, infatti, presuppone la fedeltà reciproca, la procreazione e la comunione dei beni.
LA CONVIVENZA COME FENOMENO SOCIALE
Domandiamoci, perché tra i giovani si protende verso la convivenza senza alcun legame matrimoniale stabile? Forse per una fuga dalla responsabilità che comporta quest’ultimo, oppure per un rifiuto del matrimonio stesso, considerato come un’imposizione frutto della tradizione, oppure per sostenere il cosiddetto “amore senza vincoli”, che cozzerebbe con l’idea dell’indissolubilità del matrimonio?
Certamente, la convivenza senza legame ufficiale è conseguenza diretta o indiretta di esperienze “prematrimoniali”che si perpetuano nel tempo, come una forma di pigrizia sociale, di legittimazione inconscia di un fenomeno tendente a superare l’istituto matrimoniale. Questa “ribellione”, oltre che di carattere sociale, è anche di natura psicologica. Infatti, il rifiuto di seguire delle norme giuridiche non è soltanto una “moda”per sostenere la crisi di ciò che alcuni studiosi chiamano il “matrimonio monogamico di tipo ottocentesco”, ormai superato dall’inesistenza di principi etici assoluti, ma serve anche a dimostrare che non occorre rifarsi ad esperienze del passato, si è liberi dall’essere, con il fallimento del matrimonio, catalogati come dei deboli e degli sprovveduti che abbiano fatto delle scelte sbagliate per evitare le quali basta non omologarle con un atto pubblico e quindi rendere stabile, nell’ordinamento sociale l’unione. Se non c’è riconoscimento non c’è neanche bisogno di annullamento.
Questa “libertà senza vincoli”è soprattutto una manifestazione di “egoismo”, in quanto i rapporti intimi non possono essere separati dai legami interpersonali. Questi, a loro volta, non possono essere intesi soltanto come un istinto o un sentimento, ma esprimono tutta la ricchezza di un’adesione personale completa. Qualsiasi rapporto sessuale al di fuori del matrimonio, “non rispetta la realtà personale del proprio partner, non rappresenta in altre parole un’intima comunione di persone e, anche se avviene per il libero assenso dei due, rimane sempre una soddisfazione soggettiva del proprio desiderio, senza quell’assunzione di responsabilità che comporta invece un rapporto stabile e durevole nel tempo”. Con il matrimonio si associa proprio l’assunzione completa delle responsabilità dei coniugi, i quali, oltre ad essersi impegnati alla vicendevole fedeltà davanti a Dio, qualunque sia la certificazione del matrimonio, dinanzi alla società si assumono ufficialmente quelle responsabilità che, senza il vincolo matrimoniale, si fonderebbero soltanto su una libera e discriminante scelta soggettiva.
LA CONVIVENZA ALLA LUCE DELLA BIBBIA
Dopo aver indicato quali siano, nell’ambito della società, i problemi della convivenza senza legami e le sue implicazioni psicologiche, per noi cristiani fedeli alla Parola di Dio ha ancora maggior valore ciò che il Signore stesso afferma al riguardo. La Bibbia riconosce il matrimonio monogamico fin dalla sua istituzione; infatti, quando la donna fu creata: “… l’uomo disse: Questa, finalmente, è ossa delle mie ossa e carne della mia carne … Perciò l’uomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà alla sua moglie, e saranno una stessa carne”(Genesi 2:23, 24). Fin dal principio Dio ha punito ogni violazione dell’obbligo alla fedeltà coniugale, vale a dire l’adulterio, come anche i rapporti intimi fuori del legame matrimoniale, cioè la fornicazione, in violazione del principio di unione stabilito da Dio stesso. Infatti, la parola greca usata nel Nuovo Testamento per adulterio significa: “Violazione del matrimonio”. Mentre fornicazione significa: “Prostituzione, impudicizia, abusare di sé”. Per questa ragione la Scrittura è molto precisa sia sull’adulterio, sia sulla fornicazione. Addirittura definisce l’infedeltà dei credenti verso Dio come un adulterio spirituale. Il settimo comandamento “Non commettere adulterio”(Esodo 20:14), esprime tutta l’importanza che Dio stesso attribuisce a questo peccato in quanto non soltanto lede il diritto privato della famiglia, ma anche i diritti civili del popolo ed il diritto divino, tanto è vero che era stata stabilita una legge speciale che ne prevedeva l’individuazione e la punizione (Numeri 5:11-31). Già in Deuteronomio 22:13-30 sono contenute minacce di severe punizioni per l’adulterio, considerato anche come una pratica propria del paganesimo, dal quale deve distinguersi la comunità fedele a Dio. Nel Nuovo Testamento, Gesù parla con molta chiarezza dei rapporti uomo-donna, moglie-marito. Egli precisa che l’adulterio dell’uomo, come quello della donna, si deve giudicare allo stesso modo (cfr. Marco 10:11,12). Gesù riafferma anche l’indissolubilità del matrimonio (cfr. Marco 10:6-9), pur non escludendo la misericordia di Dio per il peccatore che si ravvede (cfr. Luca 21:31, 32). Alla donna adultera presentataGli affinché la giudicasse, Egli può dare la consolante notizia, dopo che gli ipocriti suoi accusatori erano scomparsi:”… Neppure io ti condanno; va’ e non peccar più”(Giovanni 8:11). Con queste parole il Signore non minimizza la violazione, anzi, la conferma, ma esprime una possibilità di perdono nella vera conversione. L’adulterio e la fornicazione sono inconciliabili con la vita nuova in Cristo vissuta nella potenza dello Spirito Santo. “Non sapete voi che gli ingiusti non erederanno il regno di Dio? Non v’illudete; né i fornicatori, né gl’idolatri, né gli adulteri, né gli effeminati, né i sodomiti, né i ladri, né gli avari, né gli ubriachi, né gli oltraggiatori, né i rapaci erederanno il regno di Dio”(I Corinzi 6:9, IO). “II matrimonio sia tenuto in onore da tutti e il letto coniugale non sia macchiato da infedeltà; poiché Dio giudicherà i fornicatori e gli adúlteri”(Ebrei 13:4; Vers. N.R.).”Ma come si conviene a dei santi, né fornicazione, né alcuna impurità, né avarizia, sia neppur nominata fra voi; né disonestà, né buffonerie, né facezie scurrili, che son cose sconvenienti; ma piuttosto, rendimento di grazie. Poiché voi sapete bene che niun fornicatore o impuro, o avaro (che è un idolatra), ha eredità nel regno di Cristo e di Dio”(Efesini 5:3-5).
LA DECISIONE DEL CREDENTE
Per rispondere direttamente alla domanda postaci dal lettore bisogna ipotizzare almeno due casi:
a. Il “partner”non vuole legalizzare il legame.
È logico che la Bibbia, giudicando illecito qualsiasi legame intimo fuori del matrimonio, indichi a chi ha accettato Cristo, come proprio personale Salvatore e Signore, la necessità dell’interruzione di ogni rapporto, perché la condotta di un credente rinnovato dalla potenza dello Spirito Santo è pura: “Se dunque uno è in Cristo, egli è una nuova creatura; le cose vecchie sono passate: ecco, son diventate nuove”(II Corinzi 5:17).
Il nuovo convertito dovrà chiedere a Dio franchezza per dire al “partner”inconvertito che non è più possibile convivere insieme, a meno che la loro relazione non sia regolarizzata dal matrimonio civile;
b. Un “partner”inconvertito vuole regolarizzare il legame.
In questo caso, fino alla celebrazione dell’atto di stato civile che formalizza il matrimonio, i partner dovranno considerarsi fidanzati in attesa d’unirsi dopo la certificazione delle nozze. Queste due ipotesi scaturiscono dalla chiarissima esposizione di I Corinzi 7:12-16, dove lo Spirito Santo guida l’apostolo Paolo a dare dei suggerimenti molto espliciti intorno ai rapporti tra credenti e non credenti nel matrimonio.
Un’obiezione è stata mossa da persone in mala fede, le quali citano il versetto diciassette dello stesso capitolo:”… ciascuno seguiti a vivere nella condizione assegnatagli dal Signore … quando Iddio lo chiamò”, per affermare che se due coabitavano prima di conoscere l’Evangelo dovrebbero continuare a vivere nella stessa condizione. Con quale obiettività e logica si può pensare di coinvolgere il Signore in una posizione che violi la Parola di Dio? Si potrà mai affermare che la convivenza fuori del matrimonio sia la “condizione assegnatagli dal Signore”?
Inoltre, queste parole non si riferiscono ai versetti precedenti, ma a quelli seguenti, che riguardano i rapporti religiosi e sociali, tanto è vero che al versetto ventiquattro il paragrafo si conclude con la ripetizione: “Fratelli, ognuno rimanga dinanzi a Dio nella condizione nella quale si trovava quando fu chiamato”(I Corinzi 7:24). Un’ultima osservazione riguarda l’iniziativa che deve prendere il credente per regolarizzare la propria posizione, se prima della sua conversione viveva senza legame matrimoniale.
Egli ha una responsabilità morale nei confronti dell’altra parte, anche se non credente, e non può obiettivamente ripudiarlo in quanto appartiene ad un periodo precedente alla sua conversione, sulla base di una superficiale forma di spiritualità che ancora una volta si esprime con una fuga dalle proprie responsabilità.
Fare frutti degni del ravvedimento vuol dire, per quanto è possibile, riparare al male commesso e quindi, se la parte non credente accetta di regolarizzare la posizione, la parte credente deve concedere questa possibilità. Purtroppo, esistono situazioni molto più intricate per le quali il Signore, mediante la Sua Parola, può dare luce. Qualsiasi soluzione, però, non deve coinvolgere la testimonianza dell’Evangelo e l’etica della comunità cristiana. Un problema come questo, tanto vasto e tanto comune oggi, richiede chiarezza, coraggio e fede per l’attuazione della soluzione biblica in modo che: “Come liberi, ma non usando già della libertà qual manto che copra la malizia, ma come servi di Dio”(I Pietro 2:16), si possa continuare ad essere “il sale della terra e la luce del mondo”.