L’enciclica del pontefice romano “Mater Redemptoris” e le periodiche proclamazioni dell’anno mariano, rendono quanto mai opportuno ribadire la posizione cristiana evangelica sull’argomento. Prima di tutto, si deve riconoscere che la figura di Maria è spesso dimenticata in ambienti evangelici e abbandonata in una specie di limbo biblico, in contrapposizione alla teologia cattolica-romana che ne ha fatto la figura dominante della pietà

popolare. Basterebbe ricordare che Giovanni XXIII sorprese molti quando, riconoscendo l’eccessiva importanza data al culto mariano, affermò: “La vergine Maria non è contenta quando è messa al di sopra di suo Figlio”.

Quale posto dà a Maria il Nuovo Testamento? Qual è la posizione di rispetto ed onore che le si deve? Quale rilevanza ha oggi la madre di Gesù per la nostra salvezza?

Non si può per ragioni di spazio parlare di tutte le disquisizioni teologiche che, fin dal XIII secolo, hanno caratterizzato l’argomento. Gli evangelici hanno sempre sostenuto, alla luce del Nuovo Testamento e della testimonianza dei più noti scrittori cristiani dei primi secoli, che il culto mariano deve essere considerato idolatrico.

DICHIARAZIONI AUTOREVOLI

Bastino le seguenti dichiarazioni in totale dissenso con quella di Papa Giovanni XXIII:

– Pio IX (Papa dal 1846 al 1878), che nel 1854 proclamò il dogma dell’immacolata concezione, dichiarava: “Dio ha donato a Maria il tesoro di tutte le cose buone, perché ognuno possa sapere che per mezzo di lei si ottiene ogni speranza, ogni grazia e tutta la salvezza. Perché questa è la sua volontà che noi otteniamo ogni cosa per mezzo di Maria”.

– Leone XIII affermava: “Come nessuno va al Padre se non mediante il Figlio, così nessuno va a Cristo se non mediante Sua Madre”.

– Pio XII scriveva nel 1953: “E’ la volontà di Dio che noi non avessimo nulla che non sia passato per le mani di Maria”.

APPENDICI MITOLOGICHE

Alcuni teologi cattolici difendono il culto di Maria fondandosi sul fatto che questo permette alla chiesa di comprendere le virtù “femminili” di Dio. Certamente non è sbagliato parlare di Dio con gli attributi materni, la Bibbia stessa lo fa. L’errore sta nel fatto di dimenticare che Maria non è Dio, e se la nostra visione di Dio attira l’attenzione su Maria, l’abbiamo, senza volerlo, incorporata nella Deità in modo idolatrico, non importa poi quali tentativi contorti si faranno per negarlo.

Queste affermazioni, ormai accettate automaticamente dal cattolico comune, in realtà sono il risultato di “appendici mitologiche” introdot­te nei secoli.

In primo luogo c’è il dogma dell’immacolata concezione. Sia chiaro che questa non ha nulla a che fare con la “nascita verginale” di Gesù che tutti i cristiani fedeli all’Evangelo credono, e cioè che Cristo è stato con­cepito per virtù dello Spirito Santo nel grembo di Maria vergine. Ma il dogma dell’immacolata concezione afferma che Maria fu concepita da sua madre senza l’ereditarietà del peccato originale. La Bibbia non accenna assolutamente a nulla di tutto questo e, per i primi 120 anni, l’idea è stata rigettata dai più illustri teologi cristiani. Agostino d’Ippona, nel terzo sermone sul Salmo 34, scriveva: “Maria morì a causa del peccato originale trasmesso da Adamo a tutti i suoi di­scendenti e la carne che il nostro Signore prese da Maria soffrì la morte per togliere il peccato”. Lo storico Eusebio affermava: “Nessuno è esente dal marchio del peccato originale neppure la madre del Redentore del mondo”. Tommaso d’Aquino scriveva: “La beata vergine Maria contrasse il peccato (originale) essendo stata concepita dall’unione dei suoi genito­ri” (Summa teologica part. III). La lista potrebbe continuare fino agli scontri tra teologi cattolici di diverse scuole per oltre sei secoli e alla promulgazione del dogma del­l’immacolata concezione del 1854, quando la dottrina fu imposta con bolla papale. A noi basta la testimonianza del Nuovo Testamento dove è affer­mato:”… tutti hanno peccato e son privi della gloria di Dio” (Roma­ni 3:23) e Maria stessa nel “Magnificat” dice: “ … L’anima mia magni­fica il Signore, e lo spirito mio esulta in Dio, mio Salvatore” (Luca 1:46,47). Un’altra appendice mitologica è quella della perpetua verginità di Maria. Questa dottrina è scaturita certamente dall’idea mistica che il sesso sia in sé peccaminoso e quindi i teologi, talvolta con una “crudez­za di dubbio gusto”, hanno scavato in un soggetto tanto delicato e subli­me, degno soltanto di verecondo rispetto, come quello dello stato verginale di Maria. Questa dottrina, promulgata dal concilio di Trento (1545-1563), contrasta con le affermazioni dei Vangeli, quali: “E [Giu­seppe, N.d.A. ] non ebbe con lei rapporti coniugali finché ella non ebbe partorito un figlio; e gli pose nome Gesù” (Matteo 1:25; Vers. N.R.), questo testo non potrà essere frainteso perché nei Vangeli si parla dei fratelli e delle sorelle di Gesù (cfr. Marco 3:31-35; 6:3); non c’è da scan­dalizzarsi per questo, in quanto Maria fu lo strumento umano di cui Dio si servì per la propria incarnazione. Un’altra dottrina mitologica è quella dell’assunzione di Maria in cie­lo, decretata come dogma nel 1950 da Pio XII. Questa bolla del Papa af­ferma che “ella fu assunta alla gloria celeste in anima e corpo, terminato il corso della vita terrena”. Tuttavia molti teologi ultimamente sono stati “richiamati” severamente da Giovanni Paolo II su alcune delle interpre­tazioni riduttive di questa dottrina. Anche quest’ultimo dogma, come i precedenti, non trova alcun fon­damento nella Sacra Scrittura ma contribuisce alla legittimazione dei vari titoli dati a Maria.

Come evangelici, fondati soltanto sulla Rivelazione biblica, non pos­siamo accettare i titoli mariani di “corredentrice”, cioè la partecipazione di Maria all’opera di redenzione di Cristo, o di “mediatrice”, cioè “la ca­pacità di ottenere la grazia del Figlio in forza della piena compartecipa­zione avuta nell’opera di salvezza operata da Gesù”; e infine l’uso del ti­tolo “Madre di Dio”, come se Maria fosse anche genitrice della divinità di Gesù e non soltanto della Sua umanità. Inizialmente il termine “theotokos”, usato contro gli eretici i quali negavano che Gesù, nato da Maria vergine, fosse vero Dio e vero uomo, serviva soltanto per affer­mare che Maria era la madre di Colui che è vero Dio. Questo titolo sot­tolineava soltanto che Maria era la madre di una Persona che possedeva la natura divina, ma ormai quest’accezione di carattere storico è del tut­to sconosciuta nell’uso comune.

L’ATTITUDINE EVANGELICA

L’attitudine degli evangelici verso Maria è di completa fedeltà al Nuovo Testamento e si fonda su due principi fondamentali:

a. La grazia della salvezza si ottiene soltanto mediante la fede perso­nale in Cristo Gesù, il divino Signore e Salvatore: “Poiché v’è un solo Dio e anche un solo mediatore fra Dio e gli uomini, Cristo Gesù uomo” (I Timoteo 2:5);

b. L’unica autorità riconosciuta è la Sacra Scrittura e le tesi mitologi­che su Maria non possono essere accettate. Alla luce del testo sacro, Ge­sù Cristo soltanto è il Signore; Egli guida la Sua Chiesa mediante lo Spi­rito Santo, per mezzo della Sacra Scrittura che è infallibile. Ma qual è la posizione di rispetto e stima che dobbiamo a Maria?Quando ci rivolgiamo, senza pregiudizio alla Sacra Scrittura, e leggia­mo quello che è chiaramente insegnato, Maria ci appare con un dolcis­simo ed umile carattere, “favorita” in modo unico da Dio. Ella è un esempio di fede in Dio ed un modello per ogni donna cristiana. Maria ha il coraggio della fede, per reagire positivamente quando è sfidata da Dio ad accettare l’incomprensibile, l’impossibile e perfino l’oltraggioso. La sua ubbidienza è ammirabile. Il muro di silenzio di quell’esperienza è rotto soltanto dal “riconoscimento” di Elisabetta sua cugina, dal suo “Magnificat” (cfr. Luca 1:46-55) e dalla rivelazione divi­na a Giuseppe, anch’egli disposto ad accettare l’incomprensibile. Nelle parole: “… Maria serbava in sé tutte quelle cose, collegandole insieme in cuor suo” (Luca 2:19) è rivelato il suo esemplare carattere di riservatezza e di umiltà, che manifestò durante tutta la sua vita. Le parole del giovanetto Gesù al Tempio: “… Non sapevate ch’io do­vea trovarmi nella casa del Padre mio?” (Luca 2:49), non la indispettisco­no; a Cana di Galilea a quel: “… Che v’è fra me e te, o donna? …” (Gio­vanni 2:4) non risponde, ma dice ai servitori di quel banchetto:”… Fate tutto quel che vi dirà” (Giovanni 2:5). Quando ella cerca Gesù per par­larGli mentre sta esercitando il Suo ministerio, non reagisce dinanzi alla risposta: “… Chi è mia madre, e chi sono i miei fratelli?… Ecco mia ma­dre e i miei fratelli! Poiché chiunque avrà fatta la volontà del Padre mio, che è ne’ cieli, esso mi è fratello e sorella e madre” (Matteo 12:48-50).

Maria ha chiara la visione del suo ruolo e distingue bene il suo rapporto umano e familiare con Gesù, reputandolo secondario alla Sua missione. Questo ruolo è evidenziato nelle parole del Salvatore sofferente, il Quale dalla croce consegna la madre alle cure del suo più diletto disce­polo (cfr. Giovanni 19:25-27).

Infine, fedele alla sua testimonianza di fede, “… Maria, madre di Ge­sù …” (Atti 1:14) trova umilmente il proprio posto nella iniziale comu­nità dei credenti, i quali pregavano aspettando “… il compimento della promessa del Padre …”(Atti 1:4): il battesimo nello Spirito Santo. Poi, silenziosamente e sommessamente, scompare dalla storia del Nuovo Testamento, per fare unicamente spazio al Suo Salvatore. Così Maria, la madre di Gesù, appare nei Vangeli come un segno della vera umanità di Cristo e come un sano modello di vita cristiana. La sua fede rimane salda nonostante le circostanze irripetibili della sua esperienza: con la fede irremovibile e con il ruolo d’umile “ancella” del Signore, Maria rappresenta un modello per i cristiani d’ogni tempo che, come lei, sono stati “favoriti dalla grazia”. Possa ogni vero seguace di Cristo ascoltare sempre il suo saggio ispirato consiglio: “Fate tutto quel che [Gesù, N.d.A.] vi dirà” (Gio­vanni 2:5).